VITE AVVENTUROSE

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VITE AVVENTUROSE

Gent.ma Dottoressa,
vorrei esporle quanto segue: sarà perché lo conoscevo di vista ma la morte dello scalatore di Sezze Daniele Nardi, precipitato sulla vetta del Nanga Parbat lo scorso 25 febbraio mi ha particolarmente colpito. Le chiedo: Perché l’uomo sente il bisogno di tentare azioni così rischiose? La vita, la famiglia, gli affetti, le amicizie non costituiscono un freno sufficiente per stemperare questa voglia di primeggiare ad ogni costo? Sono combattuto da due sentimenti opposti: da una parte c’è l’ammirazione per il loro coraggio e dall’altra rimango attonito per il poco conto in cui tengono alla loro vita preziosa per se stessi e per gli altri. La ringrazio e saluto, R. C.

Gentile R. , comprendo il suo stupore e le sue considerazioni a riguardo. Persone, come l’alpinista Daniele Nardi, che tentano imprese così rischiose sono spinte da motivazioni molto forti, dei veri e propri bisogni a cui probabilmente è collegato il senso stesso della propria vita. Si tratta di “voglia di primeggiare”? E’ questo che ha spinto l’alpinista ad intraprendere una strada così pericolosa? Non credo sia esaustivo e che renda piena giustizia dei desideri e delle motivazioni di un uomo che ha operato delle scelte così decisive. E’ assai complesso rispondere. Si tratta di una questione delicata. Nella sua ultima intervista aveva dichiarato esattamente queste parole: “…è una promessa che mi sono fatto da bambino, quando ho deciso di diventare alpinista ho scelto di lasciare un segno sulla storia dell’alpinismo”. “Lasciare un segno” appunto: forse era questa la motivazione più significativa di Daniele Nardi? E’ questa la spinta, il desiderio che ha contraddistinto la sua vita? Sicuramente ci sono la caparbietà, l’impegno e la volontà di non arrendersi anche di fronte a sfide impossibili: esempio straordinario di resilienza, ovvero di quella capacità di affrontare e superare positivamente le difficoltà. Quando si affrontano delle imprese così rischiose è giusto tenere conto della vita, preziosa per sé stessi e per gli altri come Lei suggerisce; Nardi, in quanto marito padre figlio, avrà operato le sue più corrette e attente considerazioni. Magari difficili da comprendere. Nardi ha cercato la vita con le sue imprese; accanto al dolore dei suoi cari per la sua assenza, c’è l’esempio di un uomo per suo figlio: “non fermarti, non arrenderti, datti da fare perché il mondo ha bisogno di persone migliori che facciano sì che la pace sia una realtà e non soltanto un’idea, vale la pena farlo.” Lei, R. , si dice combattuto fra sentimenti opposti, è assolutamente comprensibile. Lasci il posto all’ammirazione per il coraggio e alla vicinanza affettiva per il dolore della famiglia.

Dott.ssa Nicoletta Agozzino
Psicologa Psicoterapeuta
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